A quando lo sciopero di camerieri e cuochi?

sciopero occca.itQuello che riporto qui sotto è lo stralcio di una nota firmata dalla segretaria della Filcams Cgil Valentina Gullà che presenta lo sciopero del 6 Gennaio presso supermercati e centri commerciali:

“Le liberalizzazioni degli orari e delle aperture domenicali e festive attuate dal DECRETO “SALVA ITALIA”, si sono rivelate negative, non hanno portato nessun aumento dell’occupazione, ma hanno peggiorato le condizioni di lavoro, aumentato la precarietà e l’assenza di ogni regola minima di concertazione sulla programmazione delle aperture e degli orari di lavoro.[…]
La nostra battaglia è culturale e riguarda i diritti delle lavoratrici e dei lavoratori del commercio, che spesso per una maggiorazione irrisoria sono chiamati a lavorare […]
E’ ormai diffuso anche l’utilizzo dei VOUCHER per pagare i lavoratori in queste giornate […].
Riteniamo che la riduzione ai minimi termini dei diritti e delle tutele dei lavoratori sia una vergogna assoluta, ragion per cui ci battiamo […] per l’eliminazione dei voucher attraverso uno dei tre REFERENDUM ABROGATIVI proposti[…]”

Già questa estate ad Agosto avevamo parlato delle NOSTRE condizioni di lavoro nei ristoranti, e di come nessuno spenda mai due parole, perlomeno, verso noi addetti ai lavori che oltre ad avere le feste come un impegno obbligato, non ha spesso la controparte a questo sacrificio (seppur calcolato per chi sceglie di lavorare nel settore HO.RE.CA.) che sia questa economica o di altro genere.
La realtà è che nei periodi di alta stagione e nelle feste, molti di noi hanno semplicemente l’occasione di lavorare, guadagnando per lo più il “giusto” stipendio che bisognerebbe prendere da dipendenti fissi tutto l’anno. Invece sacrifichiamo i giorni migliori dell’anno, per dare un servizio e una disponibilità, nella speranza di un contratto full time o al limite di prendere una buona NASPI (se eravamo assunti in regola!).
Quando ho letto la nota della segretaria Gullà, quello che mi ha colpito sono state le similitudini:
– le liberalizzazioni (che hanno influito negativamente spesso anche nel nostro settore)
– il peggioramento delle condizioni di lavoro (ma anche la scarsa professionalità nel settore HO.RE.CA. data dalle nuove forme di contratto a buon prezzo)
– I VOUCHER! (e non c’è da aggiungere altro ormai)
Ma verso la fine del testo un’altra cosa più importante mi ha fatto riflettere. Loro, e per “loro” intendo la categoria dei dipendenti dei supermercati che, facilmente raggiungibili da un’ente come il sindacato e coordinati in manifestazioni di sciopero, hanno una ben specifica richiesta da portare al governo con tanto di proposta di Referendum per abrogare 3 leggi.
E noi invece? Innanzitutto noi abbiamo un grosso problema a coalizzarci, visto che a differenze di settori come quello industriale o gli stessi supermercati, che radunano in macro imprese molti addetti del settore, non siamo facilmente raggiungibili da associazioni come i sindacati, poichè sparsi in piccolissimi gruppi, le brigate, e in centinaia di migliaia di attività sparse sul territorio, i ristoranti.
(In questo l’idea dell’APP che avevamo lanciato a Novembre serviva proprio a risolvere questo primo problema.)
Comunque se anche riuscissimo a creare un fronte unico, se anche decidessimo di scioperare, e se addirittura marciassimo verso Roma pretendendo di avere udienza…quello che mi domando è:
Che richieste avremmo?
Quali problemi e di conseguenza soluzioni, avremmo da proporre?
I pizzaioli parlano di volere una qualifica riconosciuta, i cuochi e in generale chiunque lavori in cucina (ivi compresi i pizzaioli) spesso lavorano in condizioni usuranti che non sono riconosciute come per altre categorie, una riforma generale del CCNL pensato su come oggi le diverse categorie di attività ristorativa tendono a lavorare, nei diversi contesti e periodi dell’anno. Insomma dal barman, al lavapiatti, al sommelier, chiunque nel nostro settore sa bene che i diritti quasi sempre se li deve guadagnare da solo. Ci sono molte realtà dove il nostro lavoro è trattato con la dovuta normalità, quasi fosse appunto un LAVORO NORMALE, con diritti e doveri, giorno di pausa e ferie, tredicesima e liquidazione, malattia e preavviso di licenziamento.
Ma nella maggior parte dei casi (vuoi anche per l’enorme spesa che molti ristoratori si ritrovano ad affrontare tra costo del lavoro, tasse maggiorate, tasse nuove, concorrenza sleale) il tutto si risolve in parole date e ahimè spesso non mantenute, con la conseguenza che è sotto gli occhi di tutti.
Abbiamo bisogno di un vero e proprio CAMBIAMENTO.
Per ottenerlo sarà necessario unirsi, sarà necessario probabilmente battere i pugni e chi lo sa, addirittura anche noi, un giorno, decidere di chiudere e scioperare per una gornata nazionale.
Ma prima di tutto questo è necessario sapere cosa chiedere.
Magari confrontandosi.
Magari già oggi.
TU CHE COSA VORRESTI?

  1. Gentile admin e gentili colleghi, mi domandavo se siete a conoscenza che esiste l’Associazione nazionale lavoratori stagionali, che si batte appunto da 2 anni per le nostre battaglie, contro la naspi ed i voucher in primis. Abbiamo fatto 2 manifestazioni a Roma per l’abrogazione di questi frutti del Jobs act, e per riprenderci i nostri diritti, ma sono state partecipate diciamo dallo 0,1% di tutta la nostra categoria e, nonostante il risultato ottenuto nel 2015 e non ripetuto questo anno per mancata partecipazione (la proroga alla vecchia Aspi) ancora si sta “seduti” davanti al PC a parlare di partecipazione. Se proprio volete partecipare per riprenderci i nostri diritti, Vi invito a contattare Giovanni Cafagna sulla pagina facebook dell’anls. Se invece vi sta bene quanto ci hanno tolto finora va bene anche non fare nulla.

  2. Per i posti fissi,Chiederei una “regolarizzazione” degli orari. 8 ore al giorno. e 8 devono essere pagate. Anche se,un po per la tipologia di lavoro e un po per la politica italiana, rimane un utopia. Bisognerebbe seguire un modello tipo norvegese. Lì ci riescono.

  3. Quello che dovremmo chiedere è che sia un lavoro che ci permetta di “continuare la nostra vita”. Perché sappiamo benissimo che le otto ore non esistono, che le feste le viviamo lavorando il triplo, che è un lavoro duro dove devi imparare a tirare avanti malgrado la stanchezza, e condizioni di lavoro assurde, che la meritocrazia è una barzelletta e che spesso non serve dare il mille per mille, fare il tuo lavoro con profonda dedizione per vederti messo da parte alla prima occasione.
    Continuare la propria vita significa riuscire a condurre una vita che sia una vita. Significa che non devo sentirmi costretta a scegliere tra le mie bambine e il lavoro che amo solo perché continuerebbero a crescere senza madre.
    È chiedere troppo? Forse per chi vive la ristorazione si. Siamo talmente incastrati nella convinzione che le cose stanno cosi che non ci si prova neanche a pensare di cambiarle.
    In fondo vogliamo tutti le stesse cose: lavorare, imparare e crescere, sentirsi apprezzati e valorizzati per il proprio operato.
    La verità è che il capo se ne rende conto che se 130 persone hanno mangiato per cena è perché la cucina non si è fermata per 15 ore di fila? O che ai ragazzi di sala (sempre troppo pochi di quanti ce ne vorrebbero) sarebbero serviti i pattini ai piedi per correre piú velocemente e stare dietro a tutte le richieste dei commensali? Gli importa?
    Le cose cambieranno, se ci si rende conto di essere ognuno membro di un unico grande gruppo e non isolati e sparsi. Vedremo. E quando le cose cambiaranno, voglio vedere come sarà.

  4. Buon anno a tutti, anzitutto.
    L’editoriale di Natali pone finalmente la questione cruciale: “Ma prima di tutto questo è necessario sapere cosa chiedere”.
    Questo è il punto di partenza.
    Mi sembra siamo tutti concordi nel riconoscere che l’estrema polverizzazione del nostro settore rende improbabile la nascita di un sindacato unitario in grado di rappresentarci interamente (intendo superiore alle varie associazioni di categoria già esistenti: sommelier, maitre, cuochi, ecc.); quindi, in sostanza, manca un interlocutore “di peso” che possa confrontarsi col Governo per fare richieste “solide”.
    Ad oggi quindi, le regole che fanno il bello ed il cattivo tempo per i lavoratori (ma anche per gli imprenditori) del nostro settore sono contenute nel contratto collettivo nazionale che purtroppo, nell’avvicendarsi dei vari governi, ha recepito solamente nuove modalità per “regolarizzare il precariato” (eufemismo).
    Detto questo (ovvero non essendo uniti sotto un’unica bandiera, quindi impossibilitati ad organizzarci organicamente), qualsiasi tipo di richiesta per migliorare le condizioni di lavoro (non solo economiche) non può concretizzarsi.
    A mio avviso non è tuttavia impossibile cambiare le cose: il primo passo consiste nel creare un’associazione generica della categoria (tipo la OCCCA) il cui statuto però dovrebbe essere deositato attraverso un atto notarile: giuridicamente riconosciuta, tale associazione potrebbe a quel punto appoggiarsi ad un sindacato ed operare con le regole in essere attualmente, per superarle,
    Mi spiego: avendo lavorato all’estero, rimasi colpito dalle regole del sistema olandese: anche da loro esiste un CCNL di categoria, ma questo funziona essenzialmente come base contrattuale. In realtà dipendente e titolare possono modificare (perfezionandole) le regole senza stravolgerle. Facciamo un esempio: sappiamo benissimo che nella ristorazione il fattore umano è il valore aziendale più importante: io imprenditore sarei stupido a non riconoscere qualche soldo in più in busta paga ad un bravo dipendente rispetto a uno mediocre o ad uno scansafatiche, che invece in Italia vengono equiparati come identici. Parliamo di meritocrazia. Il sindacato si fa garante del contratto che si stipula tra dipendente ed imprenditore affinchè venga rispettato. Il dipendente è più gratificato e a quel punto anche stimolato, inoltre può presentare nel curriculum il suo effettivo livello professionale quando va in cerca di un nuovo posto di lavoro.
    Sempre in Olanda, è interessante notare che nessuno può aprire un’attività ristorativa anche semplice senza poter dimostrare di avere almeno cinque anni di esperienza nel settore o aver fatto gli studi appropriati (l’alberghiero). Qui da noi invece un ex meccanico turco apre un giorno con l’altro un kebab con il benestare dello Stato e dell’ASL (libretto sanitario? Una paginetta di quiz!).
    Ecco, ho detto la mia, speriamo che arrivino altri commenti
    Mario Guidi

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